Sequestri di massa. Cosa accade nei Cpr

Lontani da occhi indiscreti e senza alcun contatto con l’esterno. Blindatissimi: accedere al loro interno senza permessi è impossibile e può succedere che i permessi concessi vengano revocati senza preavviso. Di fatto strutture carcerarie che ospitano circa cinquecento migranti in detenzione amministrativa, persone che non hanno commesso alcun reato. Questi i Cpr – Centri per il rimpatrio – presenti sul territorio italiano. Il 15 aprile 2024, il Tavolo Asilo e Immigrazione (TAI), che riunisce oltre 40 organizzazioni della società civile italiana (tra cui Recosol, Arci, Amnesty, Asgi, Casa dei Diritti Sociali, Cgil, Cies, Cnca, Forum per cambiare l’ordine delle cose, Refugees Welcome), in collaborazione con numerosi parlamentari e consiglieri/e regionali dei principali gruppi di opposizione (Pd, M5S, Avs e +Europa), ha effettuato visite e raccolto informazioni negli otto Cpr attivi in Italia: Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Milano, Roma, Palazzo San Gervasio (Potenza), Bari, Restinco (Brindisi), Caltanissetta e Macomer (Nuoro). Quanto emerso conferma quello che precedenti inchieste avevano già rilevato: senza eccezioni, i Cpr sono di fatto luoghi di detenzione dove le persone sono abbandonate a sé stesse, inconsapevoli dei propri diritti e sul loro futuro.

La delegazione TAI ha potuto parlare con alcuni ospiti dei centri e da questi colloqui sono emerse le criticità maggiori: sensazione di spaesamento, estraneazione, non sanno perché siano in questi luoghi e per quanto tempo dovranno restarci, non sono stati informati dei loro diritti. Prendono farmaci e non sanno perché. Non sempre è garantita la loro privacy, sicuramente nelle celle, ma anche nelle toilette e nei colloqui con gli avvocati, quando esistono. Sono state riscontrate criticità sanitarie che sollevano rilevanti preoccupazioni. Dalle patologie gravi conclamate e non trattate, alla somministrazione di psicofarmaci in maniera massiccia. Altraeconomia lo aveva denunciato in un report presentato nell’aprile 2023 alla Camera – Rinchiusi e sedati – e dati alla mano aveva dimostrato che l’utilizzo di psicofarmaci nei Cpr rispetto a un servizio Asl che prende in carico una tipologia di persone simile è spropositato: 160 volte in più a Milano, 127,5 a Roma, 60 a Torino e così via. Il ministro Piantedosi intervistato al riguardo nella trasmissione PiazzaPulita aveva dichiarato di “escludere nella maniera più categorica che vi sia un orientamento della gestione dei Centri finalizzata alla sedazione di massa. C’è una richiesta da parte degli ospiti. Fare il confronto tra le prescrizioni all’esterno e all’interno delle strutture non ha senso perché è più facile che nei Cpr si concentrano persone per cui quel tipo di prescrizioni si rivela normale” dimenticando che dal punto di vista medico la eventuale “richiesta” dei trattenuti non giustifica nulla: gli psicofarmaci vengono somministrati a discrezione del personale sanitario. Sempre.

Nell’indagine del 15 aprile sono stati inoltre rilevati scarsi protocolli di collaborazione e di attivazione di reti territoriali per i servizi sanitari e per gli altri servizi associati, compresi per tossicodipendenze e benessere delle persone. In un centro non consegnano l’informativa scritta perché non è possibile portare carta nella cella per asserita ragioni di sicurezza. Mancano gli elenchi degli avvocati, assenti o rari i mediatori culturali. Nel contesto di strutture spesso fatiscenti, con servizi igienici precari, gli spazi comuni sono nulli o scarsi. Anche quando ci sono mense non sono usate, si mangia in cella la porzione di cibo che arriva in box da forniture esterne. Anche quando c’è una palestra, può essere usata limitatamente. Nessun televisore o un solo televisore per un numero consistente di persone. A Roma attendono da tempo che vengano chiusi due tombini pericolosi nel campo di calcio, di fatto perciò inagibile. “Con l’estensione del periodo di detenzione nei Cpr da 90 giorni a 180 – ha detto il direttore del Cpr di Roma – la vita delle persone all’interno dei Cpr è diventata più dura. Non siamo attrezzati per una lungo permanenza, le persone non possono organizzarsi la propria giornata e alcuni rimpiangono il carcere, dove almeno potevano cucinarsi i pastiInsomma, carceri in cui le persone sono “detenute” e ricordiamolo senza aver commesso alcun reato e con l’unico scopo – per lo più irrealizzabile – di essere rimpatriate, mentre non vedono garantiti i diritti previsti per i detenuti nelle carceri italiane.

Un recente report di Actionaid, redatto in collaborazione con l’università di Bari, sul sistema detentivo per stranieri – Trattenuti – ne analizza tutti gli aspetti: dagli enti gestori, le strutture, le tipologie di appalti sino alle criticità delle persone accolte. Nel rapporto si evidenzia tra l’altro l’evoluzione delle logiche di affidamento della gestione dei Cpr che inizialmente privilegiavano attori umanitari come la Croce Rossa Italiana mentre ora i criteri di selezione sono essenzialmente mirati al ribasso dell’offerta favorendo con ciò la penetrazione del mercato da parte di soggetti for-profit e di grandi multinazionali specializzate in servizi legati alla gestione di strutture detentive. Il caso di ORS Italia Srl, una holding svizzera la cui filiale italiana si sta espandendo sia nel campo dell’accoglienza dei richiedenti asilo che della detenzione amministrativa, è abbastanza significativo. ORS Italia Srl viene già citata da Amnesty International in un rapporto del 2015, e dall’Ong Droit de Rester nel 2018: le due organizzazioni denunciano le condizioni inumane in un centro di accoglienza austriaco e la cattiva gestione delle strutture di accoglienza di Friburgo. Oggi è l’ente gestore del Cpr di Roma e, prima della sua chiusura temporanea, di quello di Torino. Ma non è l’eccezione purtroppo.

Insomma quali sono i vantaggi di questo sistema? Costi altissimi di gestione ordinaria e straordinaria, nessun riscontro sociale utile: le persone trattenute vivono in condizioni disumane, non sono utili alla società che li ospita (!), né possono aspirare ad un futuro dignitoso, nessun guadagno se non per chi gestisce questi luoghi sulla cui integrità morale ci sono sin troppe ombre. I rimpatri? A fronte di un costo complessivo di quasi 53 milioni di euro, il 72% dei quali relativi a pagamenti erogati agli enti gestori, la percentuale dei provvedimenti di espulsione effettivamente eseguiti non supera mai il 32% ed è negli ultimi anni in forte decrescita.

Le ispezioni effettuate dal TAI e dalla delegazione di parlamentari e associazioni ha certamente avuto il merito di riportare all’attenzione pubblica uno scandalo che gli addetti ai lavori hanno più volte denunciato evidenziando come nessuna direttiva o altro atto normativo europeo prevede l’istituzione di queste strutture disumane, che da più di venticinque anni mostrano di essere inutili e inefficaci anche per gli scopi per i quali sono state introdotte nel Testo Unico sull’Immigrazione del 1998.

Articolo pubblicato su https://comune-info.net/rinchiusi-in-strutture-disumane/

Vedi anche quest’agghiacciante servizio: https://www.fanpage.it/roma/la-storia-di-ousmane-sylla-morto-di-accoglienza-spacchiamogli-la-testa-a-sta-gente/

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