Eppur si muove. A cinque mesi dalla strage di Cutro

Con l’arrivo della stagione calda si è intensificata l’attività nel Mediterraneo  con conseguente aumento degli sbarchi sulle nostre coste:  a Reggio Calabria oltre duecento persone sono ospitate nelle palestre della città, gli hotspot di Lampedusa e Roccella sono al collasso.  Non mancano purtroppo segnalazioni quasi quotidiane di morti dispersi in mare o corpi giunti senza vita, una realtà questa a cui ci si sta pian piano assuefacendo: 26.257 persone sono morte o risultano disperse dal 1 gennaio 2014 al 31 marzo 2023 nel mar Mediterraneo e solo quest’anno, da gennaio ad oggi, oltre 500 persone hanno perso la vita nella traversata. Così, la notizia di due madri giunte a Reggio Calabria a metà luglio senza i propri figli, bambini  piccoli di 3-4 anni, morti nella traversata, non è quasi degna di nota.   Secondo i dati del Viminale,  dall’inizio dell’anno sono sbarcate in Italia oltre 73.400 persone, mentre  lo scorso anno, nello stesso periodo erano state meno della metà. L’emergenza accoglienza si sta diffondendo su tutto il territorio nazionale e le nuove disposizioni post strage di Cutro, con il dl 20/23 non solo hanno tolto la tutela legale,  l’assistenza psicologica e persino i corsi di lingua italiana, ma non forniscono soluzioni generando confusione e smarrimento tra i vari livelli interessati: amministratori, prefetti, enti gestori e non ultimo i migranti stessi. Sono circa 100mila le persone inserite attualmente nel nostro sistema d’accoglienza: circa il 70% è distribuito tra grandi strutture e  i Cas, -Centri di accoglienza straordinaria -, mentre circa il 30% viene inserito nei Sai, il Sistema di accoglienza e integrazione che ha sostituito gli Sprar e che prevede l’adesione volontaria delle amministrazioni comunali accoglienti. 

Recentemente le contraddizioni sono esplose in Veneto dove il prefetto Salvatore Caccamo ha “abbandonato” tra l’11 e il 12 luglio, venti immigrati sulle panchine di sei Comuni vicentini: 3 migranti sono stati letteralmente scaricati   davanti al municipio di Cornedo Vicentino,  stessa cosa a  Sovizzo. A Castelgomberto due persone originarie del Mali e una del Gambia sono state ospitate negli spogliatoi del campo di calcio. Un’altra quindicina di migranti sono stati lasciati nelle piazze davanti ai municipi o alle poste di Comuni che nella Provincia non praticano accoglienza. Il prefetto si è giustificato  spiegando che spesso nei CAS sono ospitate persone oltre la capienza consentita e a suo avviso,  l’unica soluzione possibile era coinvolgere direttamente i comuni “volenti o nolenti”. Del resto anche  il presidente della Regione Luca Zaia lo ha più volte ribadito ai sindaci, soprattutto in vista dell’arrivo imminente di circa quattromila persone nella Regione Veneto entro fine agosto. La situazione è a dir poco incandescente a tal punto da  far saltare l’incontro tra prefetto e  54 sindaci della Provincia previsto per il 13 luglio.  C’è confusione anche all’interno della Lega sulla posizione da prendere in merito alla gestione dell’accoglienza: mentre tra  alcuni sindaci leghisti si inneggia ai centri di accoglienza, recintati e lontano da ogni agglomerato urbano, Zaia ora (dopo aver osteggiato per anni il sistema SPRAR) rilancia il modello dell’accoglienza diffusa, promuovendo un protocollo per la gestione dei migranti in collaborazione con l’ANCI, l’associazione dei comuni, e le prefetture. “Pochi, per tutti” è il principio su cui si basa il protocollo mentre il suo omologo del Friuli, Massimiliano Fedriga continua a ribadire che il modello SPRAR- SAI  «è un grandissimo fallimento»  e servono  “centri controllati, con numeri sostenibili” nonostante la sua Regione sperimenti da anni e con successo la micro-ospitalità.  Anche  nell’Alto Vicentino l’accoglienza è pratica diffusa ed esiste un’esperienza virtuosa di lunga data (alcuni Comuni fanno accoglienza da prima del 2000) che coinvolge numerosi  Comuni firmatari di un protocollo di reciproca collaborazione che prevede l’inserimento di 3 migranti ogni mille abitanti.  Ma c’è di più. Lo scorso anno, la prefettura di Vicenza ha siglato un accordo di collaborazione,  in piena emergenza ucraina, con 32 Comuni –  La tenda di Abramo- con il benestare del ministero dell’Interno. L’accordo prevede la gestione dell’accoglienza in Cas, con Santorso capofila, ma con l’impegno di garantire assistenza e servizi  come da protocollo  SAI, mantenendo  il criterio di distribuzione 3×1000. Di fatto  un accordo che  permette una rapida gestione dell’accoglienza, oggi estesa non più soltanto a profughi ucraini, con requisiti di qualità certificati.  C’è tensione  anche in Toscana dove la prefetta di Firenze Francesca Ferrandino  ha convocato sindaci, prefetti e questori toscani per discutere dell’ingresso di 50000 immigrati in Italia. Nei prossimi due mesi è previsto l’arrivo in Toscana di  3511 immigrati più i minori non accompagnati.  Insomma agitazione e caos un po’ ovunque. Suonano perciò profetiche le parole di Franco Balzi, sindaco di Santorso, che  lo scorso  7 luglio all’assemblea promossa dal comune di Bologna sulle Città Accoglienti ha dichiarato:… Neutrali invece non si può essere in questo campo: o si sceglie di seguire una strada innovativa o la si rifiuta. Dobbiamo denunciare le responsabilità di chi in modo chirurgico e cinico porta avanti queste politiche, a livello nazionale; ma dobbiamo anche discutere delle responsabilità politiche e tecniche del mancato sviluppo e crescita del sistema come sistema realmente unico, realmente nazionale, realmente diffuso e realmente emancipante. Dobbiamo affrontare noi per primi Il tabù che ha tollerato il sistema pubblico dell’accoglienza integrata e diffusa come un’eccezione minoritaria, incapace di sfidare ad esempio il nodo dell’adesione volontaria al programma, anche a costo di perdere progressivamente la propria identità. Siamo stati nella migliore delle possibilità “una buona prassi, una eccellenza”, destinata però a rimanere tale e che ha accettato di non farsi sistema: quindi una esperienza costitutivamente limitata, per pochi, in pochissimi territori, con un orizzonte precario e limitato.

Ed è proprio nell’essere “un’esperienza costitutivamente limitata” il vero problema. La soluzione è semplice, di facile realizzazione: piccoli numeri, in percentuale al numero degli abitanti, inseriti nel contesto cittadino su tutto il territorio nazionale, persino il presidente Zaia lo ha capito. Oltre vent’anni di storia Sprar ci consegnano testimonianze di numerosi progetti di accoglienza ben riusciti, con ottime percentuali di inclusione sociale. In molte realtà la presenza di migranti e rifugiati ha permesso la rigenerazione urbana,  riavviato micro economie. La sicurezza cittadina, laddove sono stati applicati criteri di distribuzione territoriale ed inclusiva, non è mai stata a rischio mentre sappiamo che nei CPR (centri per il rimpatrio) che si vogliono implementare e istituire in ogni regione, dove gli ospiti vivono in condizione di alienazione e detenzione, la situazione è spesso molto critica.  La gestione del fenomeno migratorio non può e non deve  essere emergenziale ma strutturata perché   nonostante i numerosi sbarchi   ci facciano  temere all’invasione, dati alla mano, le presenze sul territorio  mantengono quasi inalterate le stesse percentuali da oltre dieci anni:  cinque milioni di stranieri, pari a circa il dieci per cento della popolazione, riconfermando ancora una volta  che il nostro Paese è da sempre terra di transito e non di permanenza.